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Watson for Oncology è il sistema di Intelligenza Artificiale sviluppato da IBM per supportare le decisioni terapeutiche in oncologia, cioè i migliori trattamenti individuali ed evidence-based. Adottato in più di 50 ospedali nel mondo nei cinque continenti, è anche un prodotto commerciale dell’ordine di decine di milioni di dollari.  Ma non tutte le aspettative sono state soddisfatte. Ci chiediamo se il problema sia negli algoritmi o nel rapporto di collaborazione tra uomo e macchina, ancora immaturo.

 

Come funziona

Watson è stato istruito da un team di oncologi del New York’s Memorial Sloan Kettering Cancer Center, istituzione di rilevanza mondiale, capitalizzandone l’esperienza decennale. E’ in grado di:

  • rilevare centinaia di attributi dalla cartella clinica di un paziente, come anamnesi familiare, test di laboratorio, visite pregresse e persino note testuali destrutturate, essendo in grado di comprendere e contestualizzare il linguaggio naturale. Una volta selezionato il paziente, il medico può risalire in ogni momento alla fonte dell’informazione visualizzata;
  • presentare all’oncologo un ranking di opzioni terapeutiche in ordine di appropriatezza per le  condizioni specifiche di quel paziente, mostrandone il razionale macinato da un’impressionante mole di letteratura costantemente aggiornata: 300 pubblicazioni scientifiche, 200 tra libri e manuali, per un totale di oltre 15 milioni di pagine.
  • ogni proposta è corredata da indicazioni statistiche circa il successo terapeutico, gli eventi avversi, la tossicità e le interazioni con altri farmaci, con accesso diretto alla fonte.
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Qualcosa di più concreto di una speranza è in arrivo per trattare i tossicodipendenti o prevenire ricadute nei pazienti già disintossicati. Sviluppato dallo Scripps Research Institute (Florida), si tratta del primo vaccino contro un oppioide ad aver superato i test preclinici di efficacia sui primati.

Esponendolo ad una specifica struttura della molecola di eroina, il preparato insegna al sistema immunitario a produrre anticorpi contro le sostanze psicoattive responsabili della fase di benessere chimico indotto da una “dose”.  Eliminare la motivazione significherebbe, per i ricercatori, disinnescare i meccanismi alla base dell’assunzione e quindi della dipendenza.

Dopo la sperimentazione sui roditori, quattro scimmie rhesus sono state esposte al vaccino, che ha dato esiti favorevoli e nessun effetto collaterale: più efficace nel primo mese, la protezione sembrerebbe prolungarsi fino a otto mesi dopo la somministrazione. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Journal of the American Chemical Society, aprendo la strada a una possibile sperimentazione sull’uomo.

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Una lista di trasparenza a logica inversa per facilitare l’ingresso di alternative e a basso costo di farmaci a brevetto già scaduto ma ancora privi di una registrazione generica. E una procedura di approvazione accelerata per le aziende che intendono commercializzarli finché non saranno presenti almeno tre versioni di quel principio attivo.

Le due mosse della FDA,  divulgate in un comunicato stampa, applicano un principio economico semplice e universale: il payor (che sia il paziente, l’assicurazione o l’agenzia governativa) può beneficiare di riduzioni dei costi solo se esiste concorrenza sul mercato.  E se non esiste, bisogna crearla.

“Nessun paziente dovrebbe essere escluso dall’accesso ai farmaci. Come organizzazione impegnata a promuovere la salute pubblica, dobbiamo fare la nostra parte per favorire le condizioni affinchè questo avvenga davvero”, ha dichiarato Scott Gottlieb, numero uno dell’agenzia governativa. L’elenco è stato redatto sulla base dell’ Orange Book, tanto auspicato anche in Italia,  e verrà aggiornato ogni sei mesi per garantire continuità all’iniziativa.

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Dalla nascita dell’e-commerce in poi, gli esperti di marketing si sono divisi in due correnti d’opinione circa il futuro ruolo delle marche: c’è chi sostiene che le tecnologie digitali ne decreteranno la scomparsa, perché l’accesso immediato alle informazioni e ai dati prevarrà sul potere emotivo dei brand. E chi, al contrario, profetizza che proprio l’eccesso di informazioni disponibili, e la loro frammentarietà in rete, valorizzerà il brand perché “semplificherà” il processo di acquisto.

Per indagare quale delle due tendenze prevarrà, la rivista on-line di Business Harvard Review ha indagato il comportamento d’acquisto degli investitori confrontando il valore della marca e quello della relazione con la clientela di oltre 6.000 aziende acquisite in tutto il mondo tra il 2003 e il 2013.

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